Teatro

Ennio Coltorti: “Chiederei a Buscetta se si è pentito, e a Falcone se ne è valsa la pena”

Ennio Coltorti
Ennio Coltorti

Ennio Coltorti a teatro si cimenta nei panni di Tommaso Buscetta nello spettacolo ‘Buscetta, Santo o Boss?’. Preparazione del personaggio e curiosità in questa intervista-confronto da bunker immaginario.

Interpretato al cinema e a teatro con successo, Tommaso Buscetta a distanza di anni e di vicende giudiziarie continua ad affascinare con la sua storia. Come spesso accade per i personaggi della malavita, cattura l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori. Il desiderio di rappresentarlo è probabilmente una sfida golosa per chi della recitazione ne fa una ragione di vita.

Anche Ennio Coltorti è caduto nella tentazione , portando in scena lo spettacolo 'Buscetta: santo o boss?
 

Boss possiamo dire che lo era, ma la santità in quale aspetto della personalità di Buscetta la potremmo intravedere?
No, non era un boss. Lo dichiara più volte. Era rispettato. Era molto abile ed è riuscito a salvarsi e a sconfiggere il suo più acerrimo nemico: i corleonesi o meglio la nuova mafia. Ma non era un capo. E non era certo un santo: era stato un assassino e aveva trafficato (era un mediatore non un trafficante) in droga. Santo lo era San Francesco che pentito del suo omicidio abbandona la vita fin lì condotta e scopre la straordinaria vocazione mistica che lo porterà alla santità.

Ma lui non rinnegherà mai il suo passato…
Buscetta non rinnegherà mai il suo essere “uomo d’onore”. Non si dirà mai pentito. Quindi non è stato né santo né boss. Ma ci si è serviti di queste due paradossali definizioni per sottolineare appunto le sue due caratteristiche preminenti e contrastanti: boss perché ne aveva il carisma e le capacità e santo perché ha sopportato torture atroci e morti di figli e parenti e ha dato il più grande contributo della storia nel contrastare la mafia. E’ ovvio comunque che il termine santo è anche un po’ provocatorio e si riferisce alla banalità, anche giornalistica, con cui si vogliono dividere gli esseri umani in buoni e cattivi.

Buscetta aveva sulla coscienza, direttamente e indirettamente, molti morti. Lei come ha ricostruito quella coscienza per rendere il suo personaggio così credibile?
Come ho sempre fatto impersonando assassini, guerrieri, demoni etc. Studiando molto il personaggio, documentandomi, osservando attentamente tutti i contributi iconografici possibili: fotografie, ritratti, registrazioni audio e video e poi andando a viaggiare nella mia parte più buia di me stesso per trovare quelle pulsioni che normalmente non vivo e portandole in superficie. Insomma un po’ come un pescatore di perle. In questo caso nere.

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Quando si parla di esponenti della malavita, teatro, fiction e lungometraggi hanno il successo assicurato. Perché secondo lei alcuni personaggi più ‘puliti’ non suscitano lo stesso interesse?
Nelle sacre rappresentazioni il popolo non vedeva l’ora che arrivasse l’attore che impersonava il diavolo perché movimentava la vicenda e anche perché alla fine veniva bastonato (per tranquillizzare la coscienza di tutti). E poi perché provi a immaginare un film in cui tutti sono buoni e va tutto bene. Non credo andrebbe a vederlo. E possiamo anche utilizzare il geniaccio di Woody Allen: “I buoni dormono meglio ma i cattivi si divertono di più”. Di fatto anche in teologia il male ha la funzione di stimolare il bene, quindi auguriamoci che questi personaggi che interessano aiutino la coscienze a direzionarsi verso il bene.

Può parlare con Buscetta e Falcone per cinque minuti. Quali sono le domande che vorrebbe fare
Prima della morte, a Buscetta: “Ma lei  crede che esista un castigo divino per le nostre malefatte?”. “E’ consapevole di aver fatto del male?”; “Non crede che comunque anche la vecchia mafia fosse colpevole?” e molte altre. A Falcone: “Ne vale la pena?” ma so già che risponderebbe di sì. Dopo la morte, a Buscetta: “Come va?”; “Ora finalmente si è pentito?”. A Falcone una sola: “Ne è valsa la pena?” So che risponderebbe; “Sì.” 

L’ambientazione scenica è una stanza di interrogatori dell’FBI. Che effetto ha su di lei e quali reazioni ha il pubblico nel trovarsi quasi partecipe dello spettacolo?
Il pubblico gradisce moltissimo. Direi che molti spettatori sono quasi sopraffatti dall'emozione quando all'uscita ci aspettano per salutarci e ringraziarci. Gli affezionati al nostro teatro entrando non lo riconoscono. E il commento ricorrente è: “Sembrava di stare davvero lì”. Ma devo dire che questo accadeva anche con “Il gabbiano” che abbiamo messo in scena per due stagioni.

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Prima di arrivare a Buscetta, la sua carriera è stata segnata da altri personaggi. Ce n’è uno in particolare che in qualche modo ha ritrovato utile per dare un valore aggiunto al boss?
Tutti i più grandi. Ma poiché Buscetta mi ricorda un personaggio della tragedia greca, soprattutto quelli che avevano una valenza tragica: Napoleone, Marlowe, Talleyrand, Lord Byron, Salieri, la Regina Elisabetta (sì, ho recitato anche en travestì) ma anche in doppiaggio: Il colonnello Kurz (Marlon Brando) in Apocalypse now redux, l’agente Smith in Matrix ecc. Ed in TV e in cinema: il cattivo traditore in “E li chiamavano briganti” di Squitieri, l’antagonista di Omar Shariff in San Pietro ecc.

'Buscetta: santo o boss?’ è uno spettacolo che non solo piace ma è anche premiato dalla critica e dagli addetti ai lavori. Al di la dell’ovvio (testo, interpretazione, messa in scena) cosa colpisce nel profondo?
Esattamente quello che suggerisce il titolo: l’impossibilità di stabilire dove finisce in noi la parte buia e dove quella luminosa. E’ un continuo combattimento. Ma anche, e non secondariamente, il rivivere quegli anni terribili e capire che non ce ne siamo del tutto liberati perché non ci abbiamo fatto seriamente i conti.

Quali saranno i suoi prossimi impegni?
Innumerevoli, come sempre. E devo dire che comincio a sentirne il peso: doppiaggio, insegnamento, scrittura, teatro: a gennaio porterò  in scena sempre a Stanze Segrete - Furtwangler, processo all’arte” la storia, quasi un giallo, dell’interrogatorio a cui fu sottoposto il più grande direttore d’orchestra tedesco appena finita la seconda guerra mondiale. Anche qui la domanda (cui sarà difficile rispondere) sarà: “Era colluso col nazismo o era solo un grandissimo artista?”. Ma le domande non finiranno qui perché a fine marzo al Teatro Off Off di Roma porterò in scena un grande successo di Stanze: “Shakespeare in love with Marlowe” sempre di Vittorio Cielo, in cui interpreto Marlowe, La Regina Elisabetta e Shakespeare vecchio, e avrò accanto mio figlio Jesus Emiliano che interpreterà Shakespeare giovane. E l’argomento è la globalizzazione. Iniziata appunto con la Regina Elisabetta.